di Paola Pepe
Ogni anno vado a cercare l’incidenza della geografia nelle tracce della prima prova dell’esame di stato e anche stavolta è presente, nonostante non sia altrettanto rappresentata nei percorsi di studio della scuola secondaria di secondo grado. Studentesse e studenti hanno trascurato l’analisi e interpretazione di un testo letterario (tipologia A) svolgendo in pochi l’analisi dei testi di Pasolini (7,4%) e Tomasi di Lampedusa (2,3%). In minoranza anche le tracce di tipologia C che prevedono una riflessione critica su tematiche d’attualità “L’indignazione è il motore del mondo social…” (15,4%) “I giovani, la mia speranza” (13,6%). Prevalgono invece le tracce di tipologia B che prevedono un’analisi del testo seguita da una produzione personale.
Fra queste è stata preferita la traccia sul “rispetto” svolta dal 40,3% dei candidati e quella “Gli anni trenta…” svolta dal 12,8% dei candidati. Rimane infine un 8,2 % dei candidati che ha scelto di trattare l’analisi del testo di Telmo Pievani “Un quarto d’era… geologica di celebrità”, saggio denso di contenuti geografici che fa esordire nelle tracce d’esame la parola Antropocene (diffusa e discussa dal 2000, grazie al saggio di Paul Crutzen e Eugene Stoermer, Benvenuti nell’Antropocene) e la parola tecnosfera (coniata dal geologo Peter Haff nel 2013). La tematica centrale dell’articolo di Pievani del 2022 re-interpreta una metafora di Mark Twain del 1903 (vai al video): se la storia del mondo fosse raffigurata come la torre Eiffel, Homo sapiens sarebbe corrispondente all’ultimo strato di vernice dell’ultimo pinnacolo della torre. Si tratta dello stesso argomento efficacemente rappresentato nella divulgazione scientifica da Carl Sagan, che nei sui scritti degli anni ‘70 proponeva un calendario cosmico nel quale il Big Bang avviene il primo gennaio e l’uomo appare pochi minuti prima della mezzanotte del 31 dicembre. Una narrazione nota, dalla quale probabilmente discende la metafora di Pievani “Un quarto d’era… geologica di celebrità”. In ambito geologico la proposta di far diventare l’antropocene una vera e propria era geologica è stata respinta nel 2024 dalla Commissione Internazionale di Stratigrafia, ma questo non intacca il ragionamento portato avanti da 25 anni da un gran numero di geografi, che attribuiscono al concetto di antropocene il valore di narrazione scientifica. Intorno a tale narrazione possiamo individuare l’impatto dell’azione umana sul pianeta e comprendere la responsabilità dell’uomo sul cambiamento climatico, sull’uso del suolo, sui consumi, sulle conseguenze economiche, ambientali e sociali della produzione lineare. Tutto questo implica che la traccia possa far riflettere sullo sviluppo sostenibile, sull’importanza dell’economia circolare e della transizione ecologica, affidandosi al punto di vista della geografia.
Proprio Telmo Pievani nel 2019 con il saggio illustrato “La Terra dopo di noi” provava ad immaginare il nostro pianeta dopo la scomparsa dell’uomo riprendendo indipendentemente un tema reso celebre dal saggio di Alan Weisman The World Without Us (2007). L’aspetto legato al cambiamento climatico è stato sviluppato da Pievani insieme al geografo Mauro Varotto, direttore scientifico del museo di geografia di Padova, nel testo “Viaggio nell’Italia dell’Antropocene. La geografia visionaria del nostro futuro” (2021) nel quale il tema è supportato da carte geografiche che simulano la trasformazione del territorio italiano e mostrano aree come la pianura padana quasi interamente occupate dalle acque marine e nel più recente “Il giro del mondo nell’Antropocene: Una mappa dell’umanità del futuro” (2022) nel quale il ragionamento cartografico è esteso all’intero pianeta nell’anno 2872. E’ evidente quindi che il MIM nel proporre la traccia di Pievani ha evocato l’approccio della geografia al tema ambientale, riproponendo a mio parere il solito interrogativo: se la geografia è così importante nel costruire una riflessione sulle tematiche attuali, perché non è allo stesso tempo adeguatamente rappresentata nei quadri orari?