Come possiamo evidenziare nei curricoli scolastici, anche in quelli interdisciplinari, i diversi valori formativi che ci vengono dati dalla geografia?

Ritorno da Padova, dal convegno sulle didattiche disciplinari dove mi sono confrontato con Antonio Brusa, Ivo Mattozzi, Lorena Rocca e Benedetta Castiglioni, e con ottimi insegnanti che ci hanno fatto vedere lavori stupendi (e qualcuno lo inseriremo a breve sul sito aiig). Così vi dico l’idea che oggi mi pare più importante tra quelle su cui sto lavorando nel dibattito sulle connessioni fra geografia e storia.

Bene, a me pare che ci sia un tratto che non solo le differenzia, ma che proprio attraverso questa differenza permette di valorizzare le potenzialità delle due discipline, distinguendone l’epistemologia e il contributo che possono dare alla comprensione del mondo.

La storia, ho imparato osservando molti manuali e la bella sintesi sul Mediterraneo di Antonio Brusa, è capace di grandi narrazioni, è capace di unificare fatti e situazioni apparentemente diverse in un’unica grande vicenda. Quando problematizza, lo fa per trovare una risposta complessiva, una spiegazione unificante che metta in relazione i fatti e che suggerisca una direzione evolutiva. Se il modello della storia è la linea del tempo, la sua narrazione cerca di dare un senso alla successione di ciò che accade, di trovare un nesso che leghi i prima e i dopo (se sto dicendo cose sbagliate, spero che gli amici storici intervengano per dibatterle).

La geografia, invece, compie esattamente l’operazione opposta. La geografia, di fronte all’apparente uniformità delle cose, va a cercare le diversità, le differenze, le unicità, le disuguaglianze. Va a ricordarci che il mondo è così abbondante e complesso che è importante soffermarci sulla varietà, registrare le anomalie, le specificità, le cose che distinguono un luogo dall’altro.

Il metodo della geografia non consiste nel generalizzare, ma nell’esaminare i diversi aspettidi un problema, interrogandolo a scale diverse indagando come cambia e si differenzia da un luogo all’altro del pianeta. La geografia affronta dunque a viso aperto, senza la protezione di interpretazioni complessive, i grandi problemi della contemporaneità, educandoci al dubbio, alla relativizzazione dei punti di vista, alla comprensione delle diversità, ed anche alla sorpresa, alla progettualità e alla speranza.

L’atteggiamento della storia tende alla ricerca di un’unica interpretazione che racchiuda secoli divicende in un’area molto ampia: il caso di Braudel e del Mediterraneo, ad esempio, raggiunge un forte livello di astrazione che esclude dalla narrazione le relazioni che la possono indebolire. Offre così una interpretazione molto rassicurante, che permette di pensare che le vicende umane abbiano un senso che accumuna popoli e vicende, una linearità, un insieme di legami non casuali.

Anche l’atteggiamento della geografia tende alla costruzione di un ordine degli oggetti geografici,e la carta geografica è l’esempio più evidente di questa ricerca di senso. Ma quando arriva a forti astrazioni e modellizzazioni, la geografia sembra dire cose scontate, o troppo astratte o troppo generali. Non è il suo forte. Il suo fascino, e forse la sua ragione d’essere, sta invece nella sua capacità di identificare gli elementi originali che rendono un luogo, una regione, un paese, unici e impossibili da catturare completamente in uno schema generale.

Facendo questa operazione, la geografia compie un passaggio epistemologico arditissimo, perché tutta la tradizione scientifica occidentale tende invece a concentrarsi su un unico livello di realtà, costruendo grandi suddivisioni semplicistiche. Ma questa attenzione alla complessità è attualissima e trova molte conferme in teorie come quella del caos o in riflessioni di filosofi della scienza come Paul Feyerabend. Ci insegna che esistono più punti di vista sulla realtà, e ci informa in modo prezioso sulla libertà con cui possiamo dare un senso alla nostra vita sul pianeta e trasformare la realtà.

Anche quando ci fa vedere le relazioni, le continuità, lo sguardo della geografia è plurale e ci ricorda che nuovi fatti possono intervenire a cambiare il corso delle cose, il valore delle risorse, il destino delle criticità e delle opportunità; ci induce al pensiero aperto, a registrare le anomalie,le identità, i legami difficili da catalogare come quelli emozionali, quelli estetici, quelli legati allospazio vissuto e al senso del luogo.
Ci ricorda che lo spazio, come la vita, non è lineare e che può prendere direzioni impreviste, ma degne di essere percorse. Il suo modello è a più direzioni,orizzontali e verticali. E forse ha ancora molto da dire e da essere esplorato.

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